Le 4 emozioni che guideranno i consumatori nel 2026 (e perché i brand devono conoscerle)
- Claudia Canella

- 26 set
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 23 ott
Oltre il 90% delle decisioni d’acquisto è influenzato dalle emozioni e dai processi inconsci (studio di Gerald Zaltman, Harvard Business School).
Non è un caso che le campagne pubblicitarie che fanno leva sulle emozioni raggiungono secondo Nielsen un picco del 23% nel volume delle vendite.
Già negli anni ’80 Nike con Just Do It aveva capito che non si trattava di vendere scarpe, ma l’emozione dell’empowerment. Negli anni 2000, Coca-Cola con “Open Happiness” non vende una bibita ma un simbolo (di gioia condivisa).
Scopriamo in questo articolo le 4 emozioni che guideranno i consumatori nel 2026 e in che modo i brand possono rispondere per distinguersi in un mercato saturo di comunicazioni.
In questo articolo:
Dagli anni ’50 ai 2000: come le emozioni hanno guidato consumi e pubblicità prima del
Ogni fase storica è stata segnata da emozioni collettive dominanti, generate da eventi politici, economici e culturali, che hanno inciso profondamente sui consumi e sui linguaggi della comunicazione.
Negli anni ’50, nel pieno della ricostruzione post-bellica, l’ottimismo e la fiducia nel progresso si traducevano nel boom economico e nella diffusione della società dei consumi (Baudrillard, La società dei consumi, 1970). La narrazione pubblicitaria metteva al centro la famiglia e il benessere, incarnando un desiderio collettivo di stabilità.

Negli anni ’80, la crescita dei mercati finanziari e il neoliberismo di Reagan e Thatcher hanno alimentato un clima di edonismo e individualismo (Lash, La cultura del narcisismo, 1979). Il modello pubblicitario italiano inizia ad avvicinarsi allo stile hollywoodiano, e sempre più brand usufruiscono della fama di personaggi famosi per promuovere i propri prodotti.

Negli anni ’90, iniziano le prime polarizzazioni. Se da una parte abbiamo spot comici e avvolgenti come quello di Christian de Sica per Parmacotto, dall'altra parte abbiamo uno stile più irriverente che risponde a quel senso di impotenza rispetto a la crisi di Tangentopoli con attentati mafiosi, nonché l'eco della fine della Guerra Fredda e dei conflitti jugoslavi, in particolare la Guerra del Golfo (1990-1991) e la Guerra del Kosovo (1998-1999).

Negli anni 2000, invece, la paura e l’incertezza diventano emozioni dominanti: l’11 settembre 2001, la crisi finanziaria del 2008 e la precarizzazione del lavoro hanno alimentato un senso diffuso di vulnerabilità. Anche il linguaggio dei brand ha iniziato a spostarsi: più rassicurante, più orientato alla fiducia, con campagne come Real Beauty di Dove (2004), che parlava di autenticità in contrapposizione a modelli irraggiungibili.
E nel 2026?
La post-pandemia, la crisi climatica, le tensioni geopolitiche e l’avanzata dell’intelligenza artificiale stanno producendo nuove emozioni collettive. Fenomeni come il burnout riconosciuto dall’OMS (2019), i dati FAO sull’insicurezza alimentare o i dibattiti sull’uso etico dell’AI non sono semplici cronache: sono fattori che modellano la percezione sociale e determinano nuove aspettative nei confronti dei brand.
Ecco perché WGSN, attraverso le sue ricerche di mercato e sociologiche, ha individuato quattro emozioni chiave che segneranno il 2026. Conoscerle significa dotarsi di una bussola strategica per trasformare i bisogni emotivi in narrazioni capaci di emergere in un mercato saturo.
Le 4 emozioni dominanti dei consumatori nel 2026
1. Danno morale: frustrazione e cinismo nei consumi
Un mix di frustrazione, rabbia e cinismo quando i consumatori sono costretti a scelte contro i propri valori (fast fashion, auto invece di trasporto pubblico, prodotti non sostenibili).
Driver principali
La “linea verde”: la sostenibilità percepita come lusso inaccessibile.
Insicurezza alimentare crescente (FAO, 2023).
I ricchi si spostano su esperienze low profile per ridurre il senso di colpa (Deloitte, 2023).
Per i brand significa: parlare in modo onesto delle contraddizioni, offrire alternative accessibili, riconoscere il disagio senza edulcorarlo.
Esempi
Nike da Just Do It a Why Do It: intercetta la fatica e il dubbio dei consumatori e lo rispetta mettendo in evidenza le preoccupazioni ed i sacrifici.
2. Ottimismo razionale: speranza concreta
In un’epoca di “Peak Pessimist”, l’ottimismo non è più ingenuo ma scelto consapevolmente. Significa riconoscere i problemi, ma scegliere di vedere le possibilità di miglioramento.
Driver principali
“Persuasion fatigue”: stanchezza da dibattito continuo (Scientific American, 2023).
“Bad world syndrome”: percezione del mondo come più pericoloso di quanto sia.
Bisogno di superare l’ottimismo ingenuo con una prospettiva realistica.
Per i brand significa: costruire messaggi che bilanciano realismo e speranza, senza cadere nel catastrofismo né nel “pink washing”.
Esempio
BMW con Real for Real: difende l’autenticità in un’epoca di AI e fake content.
3. Desiderio: nostalgia e sogni rimandati
Un sentimento di nostalgia e saudade, il bisogno di ritrovare stabilità in un mondo di crisi. Il desiderio spinge i consumatori a cercare conforto nel passato o a rimandare i grandi traguardi della vita adulta.
Driver principali
Disagio empatico e burnout (OMS, 2019).
Declino del consumismo romantico: reazione contro la “spesa di vendetta” e lo shopping compulsivo.
Pausa ridefinita: il bisogno di rallentare e staccare dagli eccessi digitali.
Per i brand significa: usare il linguaggio della nostalgia, proporre esperienze rassicuranti, valorizzare rituali semplici.
Esempio
Kodak con Charmera: mini-fotocamera retrò in blind box, che gioca sulla nostalgia e l’effetto sorpresa.

4. Barlumi: micro-momenti di gioia
I glimmers: micro-momenti di gioia e leggerezza che diventano strumenti di coping. Non risolvono i problemi globali, ma offrono ossigeno emotivo quotidiano.
Driver principali
Grande esaurimento: burnout collettivo post-pandemia.
Ricerca di realizzazione, più stabile della felicità effimera.
Spazi visti: ambienti inclusivi dove immaginazione e identità fioriscono.
Per i brand significa: creare contenuti che regalano stupore, piccoli momenti di sorpresa, leggerezza e connessione autentica.
Esempi: campagne che puntano su micro-esperienze, limited edition giocose, oppure attivazioni che regalano momenti inaspettati al pubblico.
Come trasformare queste emozioni in strategie di comunicazione
In un mercato saturo, le persone non rispondono più a messaggi generici. Rispondono a chi intercetta le loro emozioni reali.Per i brand, significa tradurre queste emozioni in:
copywriting mirato, che parla di paure, desideri e speranze concrete;
contenuti visivi che evocano autenticità o sorpresa;
esperienze digitali e fisiche che rispondono al bisogno di senso, non solo di prodotto.
Ed è qui che entra in gioco il nostro lavoro.
Il nostro approccio: dal trend al contenuto
Come Blair and the Dome, seguiamo costantemente i trend globali – sia a lungo termine (come quelli di WGSN), sia a breve termine (social, microculture, linguaggi emergenti) – per integrarli nella strategia dei nostri clienti.
Il nostro servizio di content creation mensile nasce proprio da questa esigenza:
aiutare i brand a non rincorrere le mode,
ma anticiparle, adattandole con creatività al loro tono di voce,
e trasformare le emozioni in contenuti che attraggono, coinvolgono e convertono.
Le emozioni non sono concetti astratti: sono la materia viva del marketing. Capire quali guideranno il 2026 significa avere un vantaggio competitivo.


